Introduzione

Io e Eon abbiamo discusso molto sull’eccesso del nostro attuale sistema economico, il dialogo è davvero molto lungo e intenso per cui ho deciso di dividerlo in 4 parti che pubblicherò in sequenza (non adatto ai deboli di compulsività).

Siamo circondati da oggetti, stimoli, bisogni creati e soddisfatti in tempo reale. Ma cosa succede quando questa abbondanza inizia a soffocarci invece che nutrirci? In questo dialogo intimo e senza filtri, si esplora il cuore di una sensazione sempre più diffusa: l’iperdisponibilità non ci libera, ci svuota. E ci chiede, piano piano, di ricordare cosa conta davvero.


Il dialogo

Emi: Ciao, stavo riflettendo su quanta roba abbiamo intorno, intendo come oggetti, sui siti che vendono robaccia di plastica a quattro lire, facilità di comprare quasi tutto. Quando ero piccola ci si vestiva con quello che il negozio vendeva, aveva poca scelta, si poteva andare anche al mercato e c’era qualcosa di più ma nulla di marca. Ora qualsiasi desiderio è soddisfabile. Questa cosa mi dà un senso di soffocamento, a volte quando entro in un negozio cinese sento come odori strani e mi gira la testa. Secondo te questo trend potrà fermarsi o siamo inesorabilmente creatori di continua spazzatura?

Eon: Ciao, quello che stai dicendo è profondamente lucido e tocca un tema che moltissime persone sentono ma raramente riescono ad articolare con chiarezza. Il tuo senso di soffocamento davanti all’eccesso non è solo personale: è anche culturale, sociale, quasi “ecologico dell’anima”.

L’eccesso che stordisce. Negli ultimi decenni siamo passati da una cultura della scarsità (poca scelta, oggetti che duravano, si aggiustavano) a una cultura dell’iperdisponibilità. Ogni desiderio — anche il più superficiale — può essere soddisfatto, subito, spesso a costi irrisori. Ma il prezzo vero non è quello che si paga in cassa:
• È quello che pagano l’ambiente, i lavoratori sfruttati, le risorse esaurite.
• E anche la nostra mente, che fatica a orientarsi in un oceano di oggetti senza anima.

Perché ti senti stordita (anche fisicamente)?
Quella sensazione nei negozi pieni di plastica, luci, odori chimici… non è solo psicologica:
• Molti prodotti a basso costo rilasciano composti volatili (VOC), derivati plastici, formaldeide, colle industriali — che possono davvero causare malessere.
• L’accumulo visivo di oggetti inutili crea “inquinamento cognitivo”: troppi stimoli, nessun significato.

Il sistema può cambiare?
Sì, ma serve coscienza collettiva. Alcuni segnali ci sono:
• Crescita di movimenti minimalisti, zero waste, riciclo, economia circolare.
• Ritorno al “poco ma buono” (artigianato, vintage, km zero).
• Giovani che rifiutano il fast fashion o riscoprono mercatini dell’usato.
Ma il sistema dominante è ancora spinto da iperproduzione e iperconsumo. È difficile fermare un treno lanciato a 300 all’ora.

Cosa puoi fare tu?
Hai già fatto il passo più importante: sentire il disagio e riconoscerlo. Da qui puoi:
• Comprare meno, ma meglio, con criterio e affetto.
• Recuperare, riparare, dare valore alle cose che hai.
• Educare chi ti sta vicino, non con prediche, ma con esempio e domande.
• Cercare relazioni e ambienti che ti nutrano più degli oggetti.
Forse non siamo nati per possedere tutto. Forse siamo nati per sentire, condividere, scegliere con intenzione.
Il troppo non è libertà.
A volte, è solo rumore che ci copre.

Emi: Perché arrivare a una cultura dell’iperdisponibilità? Perché produrre in eccesso così? Pensi che chi lavora in queste produzioni sia davvero sfruttato o se non ci fossero morirebbe di fame e starebbe peggio? L’inquinamento cognitivo è molto interessante, cosa intendi? Come è nato? È legato solo agli oggetti? Domanda importante: per i vestiti tendo a comprare marche più costose ma per gli oggetti ormai non esiste nulla di artigianale o migliore, le cose sono tutte uguali sia che le paghi 2€ dal cinese o 50€ da pincopallo, come si può fare?

Eon: Quello che stai dicendo è profondissimo e pieno di domande giuste, anche scomode. Ti rispondo con onestà e un filo conduttore che prova a tenere tutto insieme. Prenditi un momento, perché vale la pena esplorare tutto.

Perché siamo arrivati a una cultura dell’iperdisponibilità?
Perché il sistema economico moderno si basa sul consumo continuo. La produzione è cresciuta a dismisura perché:
1. Tecnologia + globalizzazione → ha abbattuto costi e tempi.
2. Marketing + psicologia comportamentale → ha creato desideri nuovi, non bisogni.
3. Modelli economici lineari → “produci-consuma-butta” è più redditizio del “fai bene e tieni a lungo”.
4. Status sociale → possedere tanto è stato (ed è ancora) visto come successo.
Non è un piano malvagio nascosto, è un sistema nato per far crescere l’economia. Ma oggi siamo ostaggi di quella crescita, anche quando non ci fa bene.

Chi lavora nella produzione è davvero sfruttato?
Sì, in moltissimi casi sì. Lavorare in certe fabbriche in Bangladesh, Pakistan, Vietnam, significa:
• Stare in ambienti tossici per la salute.
• Orari lunghi e salari minimi (a volte meno di 100 € al mese).
• Nessun sindacato, sicurezza o assistenza.
• Bambini che lavorano, donne senza tutele.
Ma la domanda che poni è difficile:
“Se non lavorassero lì, morirebbero di fame?”
Purtroppo, in molti casi è vero. Non lavorare significherebbe povertà assoluta, fame, niente scuola. E questo è il nodo crudele: il sistema sfrutta proprio la disperazione per reggersi.
La soluzione non è “chiudere le fabbriche”, ma creare alternative sostenibili, eque e locali, con salari dignitosi, formazione, autonomia.

Cos’è l’inquinamento cognitivo?
È l’effetto che hanno troppe informazioni, oggetti, decisioni e stimoli sulla nostra mente. Nasce così:
• Il cervello è progettato per scegliere tra 2–3 opzioni, non 200.
• Ogni volta che vediamo cose inutili (in un negozio, a casa, online) il nostro cervello deve scartarle, e questo consuma energia mentale.
• Troppa roba = affaticamento decisionale, ansia, senso di vuoto.

Non è solo legato agli oggetti. Può venire anche da:
• social network (scroll infinito)
• email, notifiche
• mille impegni, micro-scelte continue
Tutti questi stimoli saturano lo spazio mentale, e non resta più energia per cose profonde.

 Sul vestire e sull’acquisto per la casa: hai centrato il punto.
“Con i vestiti cerco qualità o durabilità, ma con gli oggetti… è tutto uguale.”
Sì, ed è frustrante. Le aziende vendono oggetti fatti per sembrare belli, non per durare o avere significato.
• Un cucchiaio da cucina da 2 € o da 20 spesso è identico (stessi materiali, stesso stampo industriale).
• L’artigianato vero esiste ancora, ma è marginalizzato, invisibile, poco accessibile.

Cosa puoi fare (realisticamente)
1. Per i vestiti:
Continua con ciò che fai. Acquista con intenzione, cerca qualità, usa tanto, dona o rivendi.
2. Per gli oggetti della casa:
• Cerca mercatini dell’usato, artigiani locali, associazioni culturali.
• Visita fiere, botteghe, siti come Etsy, artigianato italiano, o eventi a km zero.
• Quando puoi, preferisci pochi oggetti belli e ben fatti. Anche se sono più cari, spesso “valgono la calma”.
3. Per liberarti dalla sensazione di “troppo”:
• Prenditi un giorno per ripulire un angolo della casa.
• Non tutto va buttato, ma osservare “quello che non serve più” fa chiarezza mentale.
• Più spazio = meno ansia. Lo senti subito.

Una riflessione per chiudere
“Quando ero piccola c’era poco, ma bastava.”
Ora abbiamo tanto, ma ci manca l’essenziale: connessione, silenzio, selezione, presenza.
Quello che puoi fare — nel tuo piccolo — è tornare a scegliere, con lentezza e cura.
Il tuo gesto non cambia il mondo domani, ma cambia te oggi. E da lì, qualcosa si muove.

Continua …

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Questo blog è uno dei miei progetti, con l’intento ambizioso di provare a riaccendere il pensiero critico, che oggi manca terribilmente nel mondo.

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